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Il ciclismo dopato ha già fatto una vittima: se stesso |
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24-07-2008 |
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Il ciclismo è lo sport più in declino fra quelli più amati dagli italiani. Ed è un declino da delusione: il tifoso non gli da più fiducia. Questa dura sentenza è quanto emerge da un sondaggio realizzato nella primavera 2008 da Censis Servizi – Acciari Consulting sul ciclismo in Italia per cercare di capire quale fosse la percezione dell’opinione pubblica di uno sport squassato dagli scandali ma che ha affascinato generazioni di tifosi dal dopoguerra ai nostri giorni.
I risultati del sondaggio – nella loro crudezza – testimoniano di un disamore e di una perdita di appeal del ciclismo che – visti in prospettiva – disegnano uno scenario assolutamente negativo con il quale occorrerà fare i conti.
Il ciclismo, al quinto posto per gradimento tra la popolazione, con il 19% di appassionati (ma il tasso di appeal maggiore si riscontra tra gli ultra sessantacinquenni per i quali è al terzo posto dopo calcio e automobilismo), negli ultimi anni sembra perdere quote d’interesse.
Gli intervistati che dichiarano di seguire con minore interesse rispetto al passato le vicende del Giro d’Italia sono il 17% mentre il Tour de France ha diminuito il suo fascino per 15 intervistati su 100 (Tab. 1).
La causa principale di tale calo è da imputare principalmente ai troppi scandali legati al doping (Tab. 2) che hanno sconvolto lo scenario delle corse di quello che un tempo si contendeva, con il calcio, lo scettro di sport più amato dagli italiani.
“Poco meno di 6 intervistati su 10 – dichiarano Alberto Acciari e Roberto Ciampicacigli, direttore del Censis Servizi - imputano al doping di avere sottratto fascino ad una disciplina che si configurava (forse con un pizzico di ipocrisia) come il trionfo dell’epica della fatica, delle sfide impossibili tra l’uomo e la strada che s’impenna, sotto i pedali, senza considerare che forse, mantenere medie impressionanti in tappe da 200 e più Km. per molti giorni consecutivi, va oltre le umane possibilità anche per atleti allenati”.
Ed è proprio la fatica, quella vera, senza ricorso alla chimica, il valore fondante che il ciclismo deve ritrovare per risalire la china della passione e della credibilità dei risultati troppe volte decisi a tavolino.
Per il 50% degli intervistati bisogna ripartire dalla fatica – giudicato come valore positivo in assoluto - mentre il 33% apprezza lo spirito di squadra (il fascino del gregario che portava le borracce al proprio capitano è un’immagine iconografica che rimane impressa nell’immaginario collettivo delle generazioni più anziane).
La strada per la risalita del ciclismo – rimanendo nella metafora sportiva – sembra sempre più simile ad una scalata sul Pordoi o sul Tourmalet anche se appassionati e addetti ai lavori lamentano una severità dei controlli non sempre riscontrata per altre discipline. Le nuove generazioni si allontanano dal ciclismo – semmai si fossero avvicinate – e solo il 6% degli intervistati tra i 18 ed i 29 anni lo indica come sport preferito.
Intervenire per non disperdere la passione residua è necessario e doveroso.
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